Speciale Torino

Lingotto Cinese

di Beatrice Lavinia Melis

Il Politecnico convince e vince in Cina. Michele Bonino e Mauro Berta riqualificano la Pearl River Piano Factory di Guangzhou usando come modello un pezzo di storia torinese

In un Paese dove troppo spesso ci si piange addosso può succedere che degli esempi di ristrutturazione industriale torinese come il Lingotto possano diventare un modello addirittura in Cina. Infatti questo simbolo del rinnovamento torinese, dalla monocultura Fiat alla rivoluzione del turismo e dei servizi, è stato scelto come modello per la riqualificazione del complesso industriale Pearl River Piano Factory di Guangzhou (Canton). Una realtà industriale che si potrebbe a ragione definire “il Lingotto cinese” per le similitudini dimensionali e strutturali. Un’area di 133mila metri quadri distribuiti su sette piani e una lunghezza di oltre 500 metri.

Protagonisti di questo importante risultato due docenti del Dipartimento Architettura e Design del Politecnico, Michele Bonino e Mauro Berta, assieme a Sun Yimin della South China University of Technology.

La riqulificazione darà nuova vita alla sede di uno storico marchio locale di pianoforti che diverrà un grande parco della musica incentrato sulla produzione, l’insegnamento e l’innovazione in quanto ospiterà diverse start up legate a questo settore. L’offerta italiana si è imposta su altri sette candidati.

Il progetto prevede una struttura chiusa da vetri e un attraversamento che ricorda proprio quello dell’8 Gallery.

Michele Bonino confessa che dietro a questo successo vi è l’intenzione di «mantenere il 90 per cento della fabbrica simile a com’era, un po’ come ha fatto Renzo Piano con l’ex stabilimento della Fiat. Una scelta che ci ha favorito, perché gli altri gruppi hanno presentato trasformazioni più radicali che evidentemente sono piaciute meno».

L’ambizioso risultato è anche frutto dei rapporti tra il Politecnico e il mondo universitario cinese e in particolare con la Tsinhgua University di Pechino. Rapporti che vedono Bonino da anni in primo piano in quanto responsabile delle relazioni tra l’ateneo torinese e quello cinese.

L’architetto svela un altro segreto: «Abbiamo illustrato il nostro progetto, ma anche altri recuperi torinesi e mostrato in particolare le immagini del Lingotto. Sono stati conquistati, anche perché i cinesi amano lavorare sulle analogie e copiare i modelli», conclude Bonino.

L’architetto Michele Bonino
Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *