Inchiesta

La scatola reBox

L’assunto è che una buona idea è quella di proporre qualcosa di utile per la vita di tutti i giorni, che faccia bene alla collettività e che non costi fatica, ma anzi, porti vantaggi. reBOX è una scatola di cartone riciclato, con un interno di polipropilene, adatta per conservare tutti i tipi di cibo, utilizzabile in frigo e in microonde e a usarla sono i ristoratori che propongono al cliente, qualora sia avanzato qualcosa, di metterlo nel contenitore e di portarlo a casa.

Un progetto di successo, con una partenza curiosa. A raccontarlo è il suo creatore, Marco Lei: «Lo stimolo è venuto da mio figlio di dieci anni, che ogni volta che andavamo a mangiare fuori faceva avanzare qualcosa, e i ristoranti non avevano niente per contenerlo e portarlo via. Mi sono informato e ho visto che in diverse parti del mondo una cosa del genere esisteva già, quindi mi sono chiesto: perché non essere noi a farlo in Italia?». Perché in Italia nessuno, o quasi, è abituato a portare il cibo a casa. Ma a fare una sponda inaspettata c’è stato l’Expo di Milano nel 2015, «quando il discorso sullo spreco alimentare e sul valore del cibo è tornato in voga». Inoltre, dalle analisi di mercato viene fuori un dato interessante: «che la maggior parte degli italiani che non chiede ai ristoranti di portare a casa il pasto lo fa perché si vergogna di non poterlo fare con un prodotto non solo pratico, ma anche bello, e che il 70% sarebbe disposto a farlo se avesse una soluzione adatta».  Quindi si decide di partire. Marco non ha mai lavorato specificatamente nel settore, ma ha un curriculum che aiuta non marginalmente, dato che ha sempre fatto il commerciale per grosse aziende. Team di tre persone, studio del progetto, prototipi. «La fatica più grossa è stato spiegare ai ristoratori che i clienti sono felici del servizio e compiaciuti del prodotto. Non tutti capiscono che i tempi stanno cambiando, che c’è più attenzione agli sprechi». Difficoltà, quindi, ma superate in fretta: a oggi 200 ristoranti in 33 province usano reBOX, il progetto ha vinto diversi premi e i partner importanti sono in aumento. Al che dalla start up hanno voluto spingere ancora: per la realizzazione delle grafiche sono stati chiamati artisti emergenti, ed è stata data la possibilità ai clienti di personalizzare le proprie scatole, cosicché reBOX è diventata un vettore promozionale e pubblicitario, con il risultato che diversi Comuni e Regioni ne stanno comprando in grandi quantità con i relativi loghi e monumenti sopra, per regalarle ai ristoranti. La concorrenza non c’è, «ma se ci fosse non sarebbe un problema – prosegue Marco Lei – nel nostro Paese ci sono 170.000 ristoranti. Il mercato è larghissimo, e se entrassero dei competitor l’effetto principale sarebbe quello di attirare l’attenzione sul prodotto in generale».

Di fronte, insomma, sembra ci sia un’autostrada. E allora la domanda diventa: il Piemonte, le istituzioni locali e regionali, gli altri attori sul territorio sono veramente utili per una start up del genere? «Noi abbiamo lavorato bene con Reseau Entreprendre, un soggetto che aiuta le aziende neonate mettendo a disposizione professionisti nei campi più svariati e dando una mano a costruire un buona rete, tutto gratuitamente». Ma per il resto il giudizio non è così ottimistico: «Devo constatare che intorno al mondo delle start up c’è tanta fuffa, tanti enti che ti promettono cose che poi sono inutili e costose, anche con premi e concorsi che non potano a niente. Al contrario noi ci siamo trovati molto bene con la Camera di commercio, sopratutto nei settori di innovazione e internazionalizzazione».

In Piemonte la situazione non sarebbe delle peggiori, ma i margini sono molto ampi: «Qui c’è movimento, ma ci sono molte meno possibilità rispetto alla Lombardia. A Milano, per esempio, si sta parlando di uno sconto sulla tassa rifiuti per i ristoranti che usano reBOX».

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