Intervista

Parità, ma come? Intervista ad Alessandra Brogliatto

La parità di genere è ancora lontana dall’essere pienamente raggiunta in Italia. Sul posto di lavoro come nella vita quotidiana gli stereotipi continuano a danneggiare le donne e gli ostacoli da superare sono molteplici. Per parlarne con chi del raggiungimento della parità ha fatto il suo lavoro, Alessandra Brogliatto.

Davide: Per iniziare vuole parlarci un po’ di lei e della sua carriera lavorativa?

Alessandra: Certamente. Lavoro per Confcooperative Piemonte Nord e sono Ad del Consorzio il Nodo, svolgendo una funzione manageriale nell’ambito della ricerca. Più nel dettaglio mi occupo di redigere e diffondere progetti per l’innovazione e il raggiungimento delle pari opportunità. Ormai sono 24 anni che opero nel settore, mentre prima ero una libera professionista nell’ambito della formazione. La prima volta che mi sono imbattuta nel mondo della cooperazione ricordo che fu nel 1995 e da allora la mia prospettiva sul lavoro è cambiata. Ho sempre ritenuto fondamentale il tema delle pari opportunità e poterne fare il mio lavoro è stata un’opportunità che non potevo non cogliere. Bisogna impegnarsi personalmente per fare la differenza: secondo uno studio francese infatti occorreranno ancora 200 anni per raggiungere la piena parità tra uomo e donna, nonostante l’Occidente sia un vero e proprio faro da questo punto di vista.

D: L’educazione non può che giocare un ruolo chiave in questo senso, concorda anche lei?

A: Assolutamente sì. L’educazione non può che essere al centro di un futuro diverso. Parlando di educazione peraltro è importante chiarire il fatto che questa parte dalla nascita e prosegue tutta la vita, passando per la scuola e soprattutto per la famiglia: non si può smettere mai di imparare. Dare subito spazio fin dalla più tenera infanzia alla questione dell’inclusività è essenziale per prevenire le future discriminazioni.

D: A quali altri strumenti si può pensare per raggiungere più rapidamente la parità tra uomo e donna?

A: Senz’altro due strumenti essenziali sono le tanto chiacchierate quote rosa e una più equa gestione dei congedi di paternità e di maternità. Le quote rosa sono essenziali perché per osservare un pieno cambiamento nel mondo sfortunatamente è spesso necessario imporre degli obblighi legali. Ma non sono fondamentali solo in un contesto strettamente politico. È un ottimo risultato che ora sia stato inserito un simile vincolo per le società pubbliche e partecipate.
Per quanto riguarda invece le leggi di congedo parentale l’Italia, pur non essendo ancora ai livelli dei Paesi nordici, notoriamente i più avanzati al mondo, è già in prima linea. L’introduzione del congedo di paternità, seppur non ancora obbligatorio e pienamente equiparato, dimostra che c’è una volontà a livello legislativo di cambiare il malcostume che vede la donna come unica titolare del lavoro di cura, si tratti di anziani o, in particolare, di bambini. Non dimentichiamoci che la possibilità di restare incinta e il conseguente congedo rappresentano ancora un vantaggio competitivo non da poco per gli uomini rispetto alle assunzioni.
In generale poi sono auspicabili tutte quelle azioni positive che aiutino a rendere la società e i compiti che da essa derivano più equamente distribuiti, in un senso come nell’altro. Un altro esempio in tal senso potrebbe essere il nido aziendale, che permette ai genitori soli di continuare la loro carriera senza dover spendere cifre astronomiche in asili nido che sono ancora troppi pochi sul territorio e giustamente danno la precedenza a coloro che sono meno avvantaggiati economicamente. Ma anche incentivi di ogni altro tipo di welfare familiare sono un ottimo segnale.

D: Passiamo ora alle certificazioni sulla parità di genere. Visto che se ne occupa da vicino può raccontare meglio ai nostri lettori di cosa si tratta?

A: La certificazione di parità di genere rappresenta un aspetto significativo che si integra strettamente con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), poiché offre l’opportunità di definire una strategia ampia che si estende dal 2021 al 2026. Questa strategia agisce su ambiti chiave quali il lavoro, le competenze, il tempo e il potere. Nel contesto della definizione di questa strategia, si evidenzia l’importanza della certificazione sulla parità di genere. Le risposte precedenti su questo tema hanno incluso in passato il concetto di “bollino rosa”. Tuttavia, per la prima volta, con la legge 162 del 2021, si è formalizzata questa certificazione; l’obiettivo principale è comprendere quali azioni siano necessarie per raggiungere una reale parità di genere all’interno delle aziende. È importante sottolineare che tutte le imprese hanno la possibilità di ottenere questa certificazione, e quelle che la possiedono possono beneficiare di un piccolo sgravio contributivo INPS. Sebbene la legge agisca direttamente sulle imprese, è importante sottolineare che coinvolge uomini e donne poiché sono loro a comporre il tessuto aziendale. Uno degli obiettivi chiave è ridurre le uscite premature dal mercato del lavoro, promuovendo pratiche che favoriscano un’effettiva parità di opportunità. È essenziale riconoscere che la complementarietà tra uomini e donne arricchisce l’azienda, anche se spesso le mansioni sono ancora compartimentate in base al genere, come nel caso degli estetisti (in prevalenza femminili) e dei muratori (in prevalenza maschili). In contesti come quello della cooperazione sociale, sebbene le lavoratrici donne siano numericamente predominanti (circa il 90%), gli uomini riescono spesso a occupare posizioni di governance. È comune peraltro riscontrare una disparità nella remunerazione, con i compensi maschili che tendono ad essere superiori, spesso a causa di pratiche contrattuali discriminatorie.

D: Rispondendo alla domanda precedente ha citato il problema dell’abbandono dell’attività lavorativa da parte delle neo-mamme. Un problema non da poco…

A: Sfortunatamente è un problema comune soprattutto in grandi città e luoghi decentrati, per le prime i centri ci sono ma non sono sufficienti, per i secondi invece non ci sono affatto. In assenza poi di parenti, spesso i nonni, che possano contribuire la donna non ha altra scelta che ridimensionare o abbandonare le sue aspirazioni lavorative: ancora una volta in Italia è proprio il welfare familiare la prima vera forma di sostegno. Peraltro non abbiamo un mercato del lavoro sufficientemente attivo per permettere uscite e rientri e nonostante esistano realtà come Goal ed i centri per l’impiego, i servizi rimangono insufficienti. L’assenza prolungata dal lavoro crea infatti un problema di aggiornamento delle competenze, ulteriormente aggravato dall’avanzata del digitale che rende obsolete le competenze acquisite nel giro di pochi anni. Tuttavia per le donne il lavoro equivale all’ indipendenza ed è quindi essenziale. Il part time, lungi dall’essere una soluzione, è parte del problema perché rende le donne particolarmente deboli come soggetti.

D: Per concludere torniamo sul personale. La maggior parte delle discriminazioni, tanto verso le donne, quanto verso altri soggetti sensibili, deriva da stereotipi. Lei, pur lavorando in un settore dove la sensibilità sul tema è particolarmente sviluppata, senz’altro si è trovata a farci i conti. Qual è uno stereotipo che le ha dato particolarmente fastidio?

A: In effetti prima di rispondere sento che sia importante ribadire che mi ritengo fortunata a lavorare in un contesto che è decisamente più inclusivo rispetto ad altri. Tuttavia se devo citare un esempio concreto una cosa fastidiosissima è che trovandosi in riunione mi venga chiesto molto spesso, in quanto unica donna, di redigere il verbale. Questo comportamento ovviamente deriva dall’abitudine a pensare le donne al più come segretarie. Un altro esempio potrebbe essere quello delle dotazioni strumentali e tecnologiche che, a pari ruolo, spesso vedono privilegiati di uomini, ritenuti mediamente più appassionati, e quindi più capaci, rispetto alle nuove tecnologie. In generale comunque le donne si trovano sempre a dover dimostrare una performanza più elevata, il che rappresenta già di per sé un peso. È però fondamentale riconoscere che molti di questi stereotipi sono ancora connaturati nella nostra società e i più finiscono per farli propri inconsciamente: già riuscire a riconoscerli è un primo grosso passo avanti verso la definizione di comportamenti più corretti. Certo che anche nel linguaggio queste abitudini sono dure a morire. Si pensi a quanta difficoltà si fa ancora a declinare le posizioni politiche e alcuni mestieri al femminile, come ha dato di recente un triste esempio la nostra Presidente del Consiglio rifiutandosi di farsi appellare al femminile.

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