Attualità

Uno su mille ce la fa

di Andrea Doi

Gestire una start up non è per niente semplice e una buona idea non è sufficiente ad assicurare la vittoria sul mercato. Questo è risaputo. Purtroppo non sempre si può parlare di successo e il 2017 non ha certo portato bene a molte start up. Ecco perché la Cb Insights, una società di consulenza americana, ha dedicato uno studio ai fallimenti “più grandi e costosi di tutti i tempi”.

Ecco i casi più eclatanti di quest’anno:

Juicero: Con 118 milioni di dollari raccolti, 120 milioni di finanziamento da 17 investitori, tra cui  Google Ventures, Kleiner Perkins e Campbell Soup Company, doveva rivoluzionare il mercato delle spremute e degli estratti di frutta. In realtà, la sua macchina spremitrice da 400 dollari – che funzionava con delle capsule di frutta – si è rivelata ben presto inutile, visto che le capsule potevano essere spremute a mano ed è stata ritirata dal mercato nel mese di settembre.

Jawbone: ha chiuso a luglio, dopo aver raccolto 590 milioni di dollari elargiti da nomi come JpMorgan, BlackRock e addirittura il Kuwait Investment Authority, il fondo sovrano del Kuwait. La causa? L’estrema competitività del mercato wearable. Ma, secondo alcuni analisti, Jawbone sarebbe stata una vittima del cosiddetto overfunding: un eccesso di finanziamenti che ha fatto lievitare troppo la valutazione, rendendone poco appetibile l’acquisto. E ora il suo fondatore sta cercando di rilanciarla attraverso un nuovo progetto, Jawbone Health Hub.

Beepi: 35 investitori (per un totale di circa 150 milioni) hanno creduto nell’idea di una piattaforma online per la vendita di auto usate, che si occupava di tutte le formalità burocratiche e della consegna a domicilio dell’automobile, consentendo un risparmio sui costi che normalmente applicano i saloni. I costi per il personale, 300 unità, ha pesato sui bilanci ed è stato il fallimento.

HomeHero: forniva un servizio di assistenza medica a domicilio, collaborando anche con diversi ospedali e centri di cura in tutti gli Stati Uniti. Problemi contrattuali e con le assicurazioni mediche hanno costretto HomeHero a chiudere. Addio ai 30 milioni di dollari ottenuti da sette investitori privati.

Yik Yak: questo social network anonimo aveva riscosso un discreto successo di pubblico ed era stato premiato dagli investitori con circa 75 milioni di dollari di finanziamenti. Ma dopo fenomeni di cyberbullismo numerose scuole hanno iniziato a vietarne l’uso. Dal maggio 2017 Yik Yak non esiste più.

Sprig: nata nel 2013 si proponeva di cambiare le abitudini alimentari dei dipendenti statunitensi, consegnando i suoi piatti naturali direttamente in ufficio. Investimenti per circa 60 milioni di dollari. Ma i costi per il personale, tra cuochi e fattorini, ha portato al tracollo.

Quixey: fondi per 165 milioni di dollari e una valutazione di mercato superiore ai 600 milioni non sono bastati per evitare il fallimento di questa start up, che aveva realizzato un motore di ricerca per app.

Auctionata: si occupava del live streaming online di tutte le aste di opere d’arte del mondo. Dal 2012 ha raccolto 95 milioni di dollari in sei round da 15 investitori, ma ha dovuto chiudere per problemi di rete, costi di gestione troppo alti e la mancanza di una cultura diffusa sul settore.

Hello: nonostante 2,4 milioni di dollari raccolti su Kickstarter e 40 milioni di finanziamenti, questo sensore per monitorare il sonno ha dovuto presto lasciare il passo ai vari tracker integrati nella maggior parte degli smartwatch e dei fitness gadget. Hello ha chiuso a giugno 2017.

Pearl: il suo team, formato anche da ex-ingegneri Apple, realizzava uno specchietto retrovisore smart da montare anche sui modelli di automobile più datati. Ma il prezzo era davvero troppo alto: 500 dollari. La dura legge del mercato ha fatto il resto.

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