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Piemonte, la sfida

di Moreno D’Angelo

Sono oltre 400 le start up innovative in Piemonte. Ma per numero complessivo la regione è inferiore a Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Dal MISE l’aiuto del “Fondo di garanzia per le PMI”. L’eccellenza del Politecnico di Torino e il sogno di una Silicon Valley sabauda

Sono 400 le start up innovative censite nella provincia torinese nell’ultima fotografia del Ministero dello Sviluppo Economico. Un fenomeno in costante crescita, sempre più al centro dell’attenzione anche di soggetti istituzionali e del mondo associativo che trovano nel sostegno alla nuova imprenditoria innovativa un’importante chiave di successo. Start up è diventato un affascinante sinonimo di modernità, di apertura, di nuove idee vincenti che vedono quasi sempre protagonisti i giovani.

Ma non è tutto oro quello che luccica. Si tratta di aziende ai primi passi, con ambiziose idee e progetti, che però, senza adeguati supporti, rischiano di perdersi prima di camminare con le proprie gambe e vincere la sfida del mercato. Non a caso oggi solo 1 su 4 riesce a sopravvivere. Un risultato già buono rispetto all’1 su 10 riscontrabile qualche anno fa.

In Piemonte le start up faticano però a decollare. A fronte di 407 registrate alla data del 3 luglio 2017 non solo la Lombardia presenta un risultato ovviamente ben superiore (1694 imprese), ma anche l’Emilia Romagna (808), il Lazio (719), il Veneto (637) e la Campania (547).

Anche per quanto riguarda l’accesso al Fondo di garanzia per le PMI (il fondo governativo che facilita l’accesso al credito attraverso la concessione di garanzie sui prestiti bancari che possono arrivare all’80% del prestito erogato) il Piemonte evidenzia un ritardo nelle richieste di accesso alle risorse. Infatti a livello nazionale tale fondo ha autorizzato 2.062 operazioni provenienti da 1.784 startup innovative (dati al 30 giugno 2017), per un totale di 741.096.621 euro. Emerge però il ritardo del Piemonte:  un totale di 31 milioni di euro e 190 operazioni rispetto alla Lombardia che ha toccato 153 milioni di euro con 588 operazioni. Numeri migliori si registrano anche in Emilia Romagna (59 milioni di euro e 292 operazioni) e Veneto (45 milioni e 233 operazioni).

Anche l’accesso alla procedura on line per la costituzione di start up riflette questa situazione. Introdotta dal MISE il 20 luglio 2016 è un sistema quanto mai apprezzato che prevede una nuova modalità semplificata, agevolata, gratuita e digitale per la creazione di start up innovative in forma di s.r.l. Una formula che ha riscontrato uno straordinario successo con circa 500 domande presentate a fine giugno 2017 a livello nazionale, e i dati sono in continua ascesa.  Anche in questo comparto, che viaggia sul web, si registra un netto ritardo di realtà come Torino, Firenze e Napoli, con una decina di domande a testa, rispetto alle 57 di Milano (la regione Lombardia tocca quota 150).

Ritardi che costituiscono una contraddizione per il Piemonte che vanta una straordinaria tradizione nel manifatturiero ed esprime notevoli eccellenze nella ricerca (biomedicale, avio) e in altri comparti che vedono sempre più protagoniste le originali idee di giovani imprese. Imprese che possono di fatto svilupparsi anche grazie agli incubatori universitari e a un quadro di sostegno e agevolazioni mirate.

Ma come vedono questo ritardo alcuni esponenti della politica e del mondo associativo imprenditoriale piemontese più impegnati nel sostegno alle start up?

«Al di là dei numeri conta la qualità dei progetti imprenditoriali, il loro contenuto innovativo» è il commento dell’ assessora regionale al Lavoro Gianna Pentenero, particolarmente dedita alla promozione delle start up, che aggiunge: «Credo di poter dire che in Piemonte esiste un sistema legato alla ricerca e innovazione, che fa capo agli incubatori universitari, ma comprende anche iniziative private, che ha creato un terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di nuove realtà imprenditoriali dalle caratteristiche fortemente innovative. Lo conferma il successo che le start up piemontesi ottengono in occasione delle competizioni nazionali e internazionali». Pentenero ricorda a questo proposito come tra il 2015 e il 2016 i servizi finanziati dalla Regione Piemonte abbiano consentito l’approvazione di 41 business plan e la costituzione di 27 nuove start up innovative, con la creazione di 67 posti di lavoro, considerando la sola occupazione diretta. «Si tratta di risultati significativi – precisa l’assessora regionale al Lavoro – confermati dal successo che le start up piemontesi ottengono in occasione delle competizioni nazionali e internazionali. Basti ricordare che ad aggiudicarsi il Premio Nazionale per l’Innovazione (PNI) 2016 è stato il progetto “Panoxyvir”, sviluppato dal Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche di Orbassano e dall’incubatore 2i3T dell’Università degli Studi di Torino, che si propone di dar vita al primo spray nasale antivirale per la cura e la prevenzione del raffreddore».

Per Alberto Maria Barberis, presidente del gruppo Giovani imprenditori dell’Unione industriale di Torino, che ha iniziato come startupper co-founder di Protocube, ora Protocube Reply (dopo l’ingresso all’interno della multinazionale torinese Reply) «un ritardo sussiste ma, anche per le start up, parlano i numeri e si tratta di un contesto dove “si apre e si muore in fretta” e bisogna tener conto di quante sopravvivano, del loro livello di qualità, solidità e prospettiva di crescita. Fattori sui quali la realtà torinese è quanto mai solida e tutt’altro che in ritardo. Un sistema Torino che resta straordinariamente espressione della sua identità legata a comparti come la meccanica e l’automotive, con eccellenze nella ricerca, nel biomedico e in settori come l’aerospace, forti del rapporto con istituzioni oppure le realtà presenti al Politecnico di Torino e negli altri centri di ricerca che toccano livelli che non sono paragonabili con altri contesti, nemmeno lombardi».

«E’ vero che a Torino e in Piemonte vi sono meno start up rispetto ad altre regioni e in particolare alla Lombardia» – ammette anche Corrado Alberto, presidente dell’Associazione Piccole e Medie Imprese di Torino, – «però non mi pare che ci si debba limitare alla quantità: ciò che più conta è la qualità delle nuove imprese e da questo punto di vista, non abbiamo nulla da invidiare ad altri territori. Anzi, i due incubatori (dell’Università e del Politecnico), stanno lavorando bene e puntano proprio alla qualità delle imprese che seguono».

La levata di scudi in difesa della qualità del quadro dell’imprenditoria innovativa piemontese non può però nascondere punti di debolezza nella propensione al rischio e sul piano dei supporti finanziari. «L’ecosistema attivato da Regione Piemonte, insieme agli incubatori universitari pubblici e a Finpiemonte S.p.A., (la società che gestisce dal punto di vista finanziario le misure di sostegno alle start up innovative), sta dando buoni risultati, quello che sarebbe sicuramente utile è un maggior supporto da parte di istituti di credito e investitori. Inoltre – ammette la Pentenero – quello che forse oggi manca e sarebbe sicuramente utile è l’incontro tra ricercatori/start up innovative e altre imprese; questo elemento permetterebbe a imprese già presenti sul mercato di migliorare la produzione dei loro prodotti e servizi e allontanarsi da potenziali situazioni di crisi».

Barberis tra le note dolenti rileva il peso delle strutturali carenze del capitale di rischio del nostro Paese. «Nulla a che vedere con quanto si registra nel mondo anglosassone, e vi è il problema di far sì che tante idee valide non vengano perse. Per questo serve che i sistemi di supporto (bandi, finanziamenti, agevolazioni) siano efficienti e soprattutto rapidi perché molte sfide si giocano proprio sui tempi di accesso a fondi e opportunità».

Il Presidente di API Torino Corrado Alberto punta invece il dito verso l’instabilità economico-finanziaria e politica: «Una situazione che non consente alle imprese di effettuare pianificazioni ragionevolmente affidabili. Ed è chiaro che il caos politico non favorisca per nulla i programmi e le decisioni assunte, sia a livello locale che nazionale, e pare porti ulteriore confusione invece di indicare percorsi di sviluppo». «E’ evidente – conclude Corrado Alberto – che occorra da parte di tutti una assunzione di responsabilità verso decisioni che devono essere prese con urgenza nei confronti delle risorse per lo sviluppo, della burocrazia, del credito alle imprese, dell’imposizione fiscale e tributaria. Da parte nostra non ci sottraiamo a questa responsabilità, ma vorremmo vedere più serietà da parte delle istituzioni e della politica».

Per il capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale a Torino Osvaldo Napoli i ritardi registrati dalle start up rispecchiano una generale e preoccupante regressione della città, anche sotto l’aspetto economico. Tanto che si domanda: «Per quale motivo i dati piemontesi devono essere così lontani da quelli lombardi? Perché Torino deve essere la periferia di Milano? Cosa ci manca? Cosa impedisce quello scatto che, al di là dei numeri del momento, possa mettere le ali alla nuova imprenditoria torinese? Insomma perché così poche nuove imprese? Domande che andrebbero rivolte alle nostre istituzioni, alla Regione Piemonte».  Il veterano esponente azzurro precisa: «Non critico i dati positivi ma non mi accontento se da altre parti si corre a velocità doppia». Si tratta di dati decisamente limitati rispetto a quanto potrebbe esprimere il Piemonte, pur tenendo conto delle annose piaghe legate a burocrazia, carenza di fondi e anche ad una certa “paura del rischio” espressione della maggiore “cautela” dei piemontesi. Ma Osvaldo Napoli ha anche parole di stima per le iniziative portate avanti dall’assessorato all’Innovazione: «Trovo il lavoro di Paola Pisano estremamente positivo». Ma non si tratta di un’esponente della Giunta che contrastate? «E’ brava e il problema è ben al di là dei colori politici che contano sempre meno» conclude Napoli.

Le preoccupazioni sul declino della capitale sabauda sono condivise da Gilberto Pichetto, coordinatore di Forza Italia in Piemonte. Le sue critiche potrebbero sintetizzarsi nello slogan “Con la decrescita felice non si sviluppano le start up”.

A questa amara constatazione aggiunge con pathos: «Stiamo diventando la periferia di Milano. Le due città viaggiano con un passo molto diverso e questo certo non per una questione di fondi pubblici. Sono dati di cui finalmente gli indicatori economici, anche per quanto emerge sulle aziende innovative, cominciano a prendere atto».

Altro che sviluppare quel volano, fondamentale per la nascita di imprese innovative. Un volano possibile solo in sinergia con un settore imprenditoriale privato dinamico, con l’ovvio supporto delle istituzioni. Per Pichetto a Torino siamo ormai allo stallo e si tratta di un quadro voluto che sta impoverendo la città, sulle ali di quella “descrescita felice“ che, a suo parere, è tale solo per ricchi pensionati e benestanti, con figli sistemati, che guardano la città dalla collina. A questo fa da contraltare il dinamismo del Comune di Milano e della Regione Lombardia che, pur con colori diversi, si sta attivando per ospitare l’Agenzia europea del Farmaco che deve lasciare la sede di Londra dopo la Brexit. Un fatto che potrebbe sviluppare enormi opportunità anche per numerose start up. Ma cosa pensa il consigliere azzurro delle eccellenze e degli indicatori, comunque in relativa crescita, che si registrano in Piemonte? «Sono deluso. E’ una visione forzata, quasi pubblicitaria che non vuole prendere atto della drammaticità della situazione. Non è una singola iniziativa, per quanto virtuosa, che può caratterizzare un intero sistema. Come detto servono sinergie». Gilberto Pichetto rileva come oggi si scelga Milano e non Torino, anche in presenza di costi maggiori, per l’efficienza e la velocità della macchina pubblica rispetto alla burocrazia torinese. Fattori rilevanti per chi vuole fare impresa, tanto più per le piccole e innovative. «Non è una questione di destra o sinistra» – confessa il consigliere regionale Pichetto – «Io ormai mi divido tra Torino, Milano e Biella e questi problemi e differenze le riscontro direttamente da tempo, ma resto tuttavia convinto che sotto la Mole vi siano spazi e professionalità per invertire la rotta. Non possiamo certo trasformarci in un centro di assistenza».

Pichetto conclude la sua riflessione sottolineando l’importanza del “fattore speranza”: «L’economia di mercato parte da questo elemento fondamentale e qui a Torino purtroppo il quadro dell’innovazione deve fare i conti con tanti ragazzi che escono dal Politecnico e vanno altrove a far fortuna a fronte di un settore imprenditoriale in difficoltà».

Anche per Davide Gariglio, segretario regionale del Pd e consigliere della Regione Piemonte ci sono realtà che godono di un sistema più favorevole per le giovani imprese innovative «infatti dobbiamo imparare dai più bravi, ma la sfida più grande per le start up è la sostenibilità nel tempo e il valore realmente innovativo». Gariglio  evidenzia la validità del sistema Piemonte su ricerca e innovazione, che fa capo agli incubatori universitari ma comprende anche diverse iniziative private. Un contesto che «sta alimentando un sistema sempre più fertile per la nascita e lo sviluppo di nuove realtà imprenditoriali fortemente innovative e dalle caratteristiche manageriali solide».

«Bisogna urlare al mondo che è bello fare start up a Torino, ma per essere in grado di attrarre e diventare un polo a livello internazionale occorre muoversi come si è fatto per il turismo e per l’università». A parlare è Massimiliano Ceaglio, direttore operativo dell’incubatore universitario torinese I3P torinese, un’eccellenza che segue 53 aziende e 120 in “preincubatura, che però ammette «purtroppo siamo alla saturazione e servono urgenti servizi e interventi. Oggi non possiamo certo competere con realtà che hanno il triplo di popolazione ma si può crescere sviluppando un’ecosistema che incentivi la scelta di Torino come sede per far crescere nuove imprese innovative». «Per questo occorre diventare attrattivi con servizi, abitazioni a condizioni agevolate, vivibilità, incontri con gli investitori, spazi per la sperimentazione delle idee innovative. Ma l’incubatore non fa marketing per la città, non è il suo lavoro» conclude Ceaglio.

L’entusiasmo dei giovani dell’Unione Industriale: “Siamo meglio della Silicon Valley, ma serve un cambio di passo”

Da via Fanti, sede dell’Unione Industriale, viene ricordato come ci sia da sempre grande attenzione verso le start up, innovative e non. Dal venture capital, introdotto in Italia nel 1984, su proposta dell’Associazione, ai servizi oggi offerti gratuitamente alle start up torinesi grazie alle numerose collaborazioni avviate con Atenei, Incubatori ed acceleratori d’impresa e servizi per la nuova imprenditorialità come il MIP, Mettersi in Proprio. Una rete attiva che vede nello Sportello Startup, curato dal Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione, un punto di riferimento per il territorio. «Trovo che oggi – osserva Barberis – appena tornato da una missione nella Silicon Valley con 20 giovani imprenditori torinesi, vi sia un mondo giovanile molto più concreto, propenso al rischio e veloce nelle decisioni rispetto anche solo a qualche anno fa. Giovani che si mettono in gioco con un approccio in cui incide il rapporto con la tecnologia, con il web, oltre che naturalmente la conoscenza delle lingue. Un approccio prevalentemente pragmatico capace di fare i conti con il mercato e ad aprirsi a collaborazioni o vere e proprie “adozioni” con realtà aziendali consolidate (si pensi al progetto Adottup di Confindustria)».

Il rappresentante dei giovani industriali, sottolinea come il successo delle start up e la loro “resistenza” (tasso di sopravvivenza, ndr) in continuo miglioramento «sia anche frutto di un sistema agevolativo e di supporto, che può contare su realtà associative come la nostra, che offre agli startupper assistenza e servizi gratuiti per due anni e su vari strumenti finanziari come il fondo sociale europeo e il fondo di garanzia per le PMI». In tale contesto operativo Barberis fa un cenno all’importanza del fattore relazionale, sottolineando l’ottimo rapporto con esponenti della politica torinese come gli assessori comunale all’Innovazione Paola Pisano e quello regionale al Lavoro Gianna Pentenero, particolarmente attenti sui temi innovazione e imprenditorialità, ed il dialogo costante con l’ecosistema delle start up torinesi. «Questo in una realtà giovanile che trovo sempre più lontana e disincantata dalla politica, una tendenza che se esasperata potrebbe diventare un problema».

Un’opinione condivisa anche dalla consigliera regionale Claudia Porchietto: «Torino ha le potenzialità per diventare la Silicon Valley piemontese, come sostenevo già alcuni anni fa quando ero assessora al Lavoro della Regione. Vero, per alcuni è un paragone forte ma io ci credo ancora». «Le start up giocheranno un ruolo fondamentale nella crescita del Paese e mi aspetto, così come avviene negli Stati Uniti, che costituiscano il volano anche per la crescita dell’occupazione», continua Porchietto, che ricorda come «durante la nostra amministrazione e grazie alla collaborazione che c’era tra Regione Piemonte e Atenei piemontesi, abbiamo contribuito alla nascita di oltre 170 aziende innovative, producendo un fatturato di oltre 60milioni di euro. Sono convinta che questa collaborazione debba continuare anche oggi perché Torino non può restare indietro dopo essere stata in cima».

Start up e futuro: “Un mondo di imprenditori di se stessi”

Il mondo delle start up oggi è molto più che un’opportunità e rappresenta una realtà che anticipa le sfide del futuro. Forbes (la storica rivista economica statunitense) aveva ipotizzato come nel 2020 un lavoratore su due sarà imprenditore o autonomo. Un messaggio condiviso e rilanciato dai giovani industriali torinesi specie in tema di start up che con ottimismo vedono “un messaggio passato e una strada in discesa”: «Non basta basarsi solo sui numeri in un contesto in cui è facile aprire e morire in fretta senza un progetto adeguato e sostenibile. A fare impresa si impara, e ogni nuova impresa che nasce e cresce crea nuovi posti di lavoro. E per noi è basilare supportare lo spirito d’iniziativa dei giovani che, se coinvolti e chiamati ad esprimere il proprio talento e a progettare il proprio futuro, sanno dare sempre il meglio di sé».

In tal senso viene ricordato il successo della European Innovation Academy (EIA) che ha radunato quest’anno proprio a Torino 600 studenti di tutto il mondo per ragionare di idee d’impresa realizzabili e pronte ad essere supportate e sostenute da un sistema Paese che guarda allo sviluppo. «Sono questi i numeri che contano, no? Ma bisogna attivarsi per migliorare le condizioni in cui operano le nuove imprese innovative e per far sì che quelle che sopravvivono crescano ancora». «Per questo – precisa Barberis con ottimismo – serve un “cambio di passo” per consentire a queste giovani imprese preziose aperture e collaborazioni anche attraverso la cessione di quote a soggetti investitori. In conclusione il presidente dei giovani dell’Unione Industriale mette a confronto il contesto innovativo piemontese con quello della Silicon Valley: «Lì c’è un tessuto, un sistema che rende tutto efficiente ma noi siamo più bravi, più creativi e amiamo il bello, fondamento del nostro made in Italy, ma serve un cambio di passo».

«Per una città come Torino che è stata capitale dell’industria perdere terreno nell’ambito delle start up e dell’innovazione è senza alcun dubbio deleterio – spiega il segretario provinciale in pectore del Partito Democratico Mimmo Carretta – Qui nel nostro territorio abbiamo tutti gli strumenti per evitare di essere superati da altre realtà nazionali, come ad esempio, Milano. Mi vengono in mente gli Atenei e in particolar modo il Politecnico che anche all’estero ci invidiano. Noi politici dobbiamo fare in modo di facilitare il compito alle start up favorendo non solo la loro nascita, ma aiutando a creare una rete tra di loro così che il confronto e la crescita riportino Torino alle posizioni che merita».

“Con le start up si può migliorare la città”

L’assessora all’Innovazione del Comune di Torino Paola Pisano, docente di Gestione dell’innovazione dell’Università di Torino,  ha sempre individuato nelle start up, cavalli da corsa dell’innovazione, un referente prioritario per migliorare e rendere più efficiente l’operatività di tutta l’amministrazione cittadina.

Questo che si tratti di interventi di emergenza a fronte di catastrofi o di migliorare ordinarie funzioni dei servizi pubblici come la gestione di una piscina comunale. Non a caso l’assessora ha lanciato, in avvio del suo mandato, lo slogan “Vogliamo che la città di Torino abbia un approccio da start up”. Un discorso puntato ad innovare la macchina pubblica comunale, che si è allargato anche ad altri contesti, attraverso il confronto con significative esperienze metropolitane come Tel Aviv, Barcellona e San Francisco. Un approccio basato sull’attenzione e il confronto con quanto si registra nelle realtà regine nell’applicazione di nuove tecnologie. Un fatto quanto mai significativo specie per il contesto italiano dove purtroppo l’applicazione di geniali intuizioni e innovazioni incontra spesso difficoltà e tempi troppo lunghi.

Prendendo spunto da quanto si è registrato in California a San Francisco, l’assessora si è appellata al mondo delle start up con un: «Aiutateci a risolvere i problemi». Proprio con la città di San Francisco, Torino ha siglato una prima intesa che apre a una futura ancor più fitta collaborazione su innovazione e start up che prevede importanti sviluppi sull’operatività e l’efficienza della macchina comunale.

Nel caso californiano si tratta di un modello che vede attivo un “acceleratore di imprese”, legato a un fondo d’investimento della Silicon Valley, (European Innovation Academy), che lavora sulle migliori idee da sviluppare.

E per i costi? Il Comune offre sé stesso come laboratorio per la sperimentazione. Se poi la soluzione della start up (che non riceve compensi) ha successo questa potrà liberamente venderla e proporla dove ritiene, in quanto il bozzolo è diventato una farfalla, ovvero un prodotto oggetto di mercato. I campi di applicazione di questa collaborazione spaziano dall’elaborazione di nuovi sistemi per rispondere e gestire gli interventi legati ad emergenze (terremoti, alluvioni), ricorrendo a una piattaforma in grado di immagazzinare e leggere le informazioni sui danni, valutando le richieste di aiuto così da coordinare in modo efficiente l’impiego di volontari, mezzi e corpi d’intervento necessari. Tra le infinite applicazioni le elaborazioni delle start up potrebbero comportare grandi vantaggi e aiuti anche nella gestione e analisi dei  Bilanci.

A comprovare con quanta determinazione l’assessora all’Innovazione di Torino creda in questo nuovo approccio vale la costituzione di un piccolo team di startupper e ingegneri: «Lavorano con me e stiamo cercando di migliorare, attraverso la tecnologia, l’efficacia dei servizi che la Città offre».

«Per questo – spiega la Pisano – abbiamo cambiato approccio in quanto servono progetti rapidi, che richiedano poche settimane di sviluppo e che poi possano essere affinati».

Un rinnovamento della macchina pubblica, attraverso il coinvolgimento dei dipendenti, che ha ripreso il progetto “InnovaTo” avviato dalla Giunta precedente guidata da Piero Fassino.

E’ infine da sottolineare come per portare avanti queste linee innovative Pisano punti sulla costituzione di una “messa in rete” delle realtà metropolitane più significative che hanno trovato nella tecnologia e nel rapporto con le start up le chiavi per rendere l’amministrazione più agile,  rapida ed efficiente nell’affrontare l’ordinario e le emergenze dell’oggi e soprattutto del domani. Torino è una delle prime tra le 100 città che il sindaco di San Francisco Edwin M. Lee ha deciso di inserire, nell’arco di cinque anni, in una rete di cento città con l’obiettivo comune definito in California STIR: “Start up in Residence”.

Promesse e progetti che, scommettiamo, guarderà con attenzione anche Alberto Morano, noto professionista, già candidato sindaco e consigliere comunale a Torino per la lista Civica Morano. Perchè qualche critica sull’operato di Palazzo di Città c’è l’ha: «Nuove imprese, innovazione significano maggiori ricchezze. Difendere queste realtà vuole dire in primo luogo avere strumenti concreti per contrastare anche la disoccupazione. Cattive politiche delle amministrazioni locali ad oggi non hanno permesso questo sviluppo, mentre in altre città e in altre regioni avveniva il contrario. C’è chi è rimasto a guardare. Beh, sono convinto che si debba cambiare registro affinché Torino non diventi una succursale».

Sfida quindi ancora tutta da giocare, quella di Torino “città start up friendly”. Come tutti i rischi anche una opportunità.

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