Intervista

Acqua fresca

Se dovessimo fare una classifica dei beni di consumo che nel XXI secolo in Occidente diamo più per scontati, l’acqua sarebbe senz’altro nei primissimi posti della classifica. Eppure l’acqua, più antica del nostro stesso pianeta, è uno dei beni più preziosi di cui disponiamo e non è sempre stato semplice come oggi accedervi. Le recenti crisi di siccità che hanno colpito non solo il Piemonte, ma anche il resto d’Italia, ci invitano a riflettere su come ci poniamo rispetto a questa indispensabile risorsa. A partire da questa breve riflessione introduciamo Michele Bocchio, uno dei quattro fondatori di HubWater, una startup che punta a ripensare completamente al modo in cui fruiamo dell’acqua nel quotidiano.

D: Puoi raccontarci in breve come sia nata e che cosa sia HubWater?

M: HubWater nasce da un’idea del mio socio Filippo Quercetti che 3 anni e mezzo orsono, dopo essere stato negli USA, si è reso conto di quanto la fruizione dell’acqua fosse diversa e migliore rispetto a qui. Infatti già da quasi un decennio nelle coste degli Stati Uniti le borracce hanno pressoché sostituito le bottigliette in PET, ovviamente con l’idea non solo di risparmiare, ma anche di portare un contributo positivo all’ambiente.
Parlandone con me ed i nostri altri due soci, Davide Sinocoli e Martino Feyles, si pensò inizialmente di aprire un negozio di borracce ed altri articoli, ma, visto l’alto livello di concorrenza a livello non solo statale, ma anche continentale, abbiamo deciso di intraprendere un cammino decisamente più audace fondando una startup. Inizialmente non avevamo nessun’esperienza di come far funzionare un’azienda (tutti e quattro i soci sono giovani classe ’98), ma muovendoci un po’ a tentoni, come tutti all’inizio, siamo giunti all’idea di ciò che avremmo dovuto fare più che vendere borracce: dovevamo vendere piuttosto un servizio. Ed il servizio che avremmo dovuto vendere è la possibilità di ricaricare in vari locali gratuitamente la nostra borraccia con acqua depurata e scoprire attraverso un’app l’impatto ambientale generato da questa scelta. Quello che tutt’ora facciamo.

D: Avete parlato di un esordio 3 anni fa, quanto ha pesato il COVID sui vostri esordi?

M: Inutile nascondersi, è stato un inizio davvero difficile e la pandemia ha inevitabilmente condizionato gli esordi dell’attività, soprattutto perché i ristoratori spesso erano chiusi a causa delle contingenze e non potevamo offrire il servizio che avevamo studiato e che li vede ricoprire un ruolo davvero centrale. Per fortuna in seguito la situazione è migliorata ed il progetto è riuscito ad andare avanti secondo i piani e prendere finalmente forma.

D: E per il futuro quali sono le ambizioni di HubWater, un progetto interessante, ma che non sembra particolarmente semplice da “scalare”?

M: In effetti da quando la nostra giovane azienda è stata incubata da SocialFare, che ci ha permesso di comprendere meglio come funzioni e le esigenze di una startup funzionale, uno dei primi nodi ad essere venuti al pettine è stata proprio la scarsa scalabilità di questo progetto, inoltre ci siamo resi conto che i ristoranti non potevano dare molte garanzie e dunque era rischioso affidare loro una parte così essenziale del servizio. A questo punto peraltro abbiamo deciso tra noi 4 di dividerci per portare avanti delle idee diverse. HubWater resterà al suo ideatore Filippo, che continuerà a produrre borracce smart (realizzate in acciaio inox 304 e capaci di interagire con la tecnologia IoT del Depuratore grazie ad un tag NFC) come quelle attuali. Io invece ho deciso di intraprendere una strada più ambiziosa, restando sempre nel settore: presto infatti dovrebbe arrivare una nuova startup (il cui nome è ancora top-secret) che si basa su un concetto simile, ma punta ad un target differente composto di università, scuole ed aziende, piuttosto che ai privati cittadini (che hanno risorse più limitate), nell’ottica dei sempre più richiesti bilanci di sostenibilità. Questo tipo di clienti inoltre può trarre inoltre grande beneficio dalla questione dei carbon credit, molto utili a pressoché tutte le aziende per questioni di incentivi e di immagine. Questa scelta è derivata anche da un fattore che io ritengo chiave nello sviluppo di una startup, ovvero il feedback dei clienti, che mi ha portato a pensare che cambiare target potesse giovare non solo al consumatore finale, che resta sempre il privato cittadino, ma anche ai nostri nuovi clienti ed infine alla mia futura azienda.

D: Parlando di startup che nascono, un breve off-topic conclusivo: cosa ne pensi del fatto che molte startup nascano già avendo come principale obiettivo un’exit redditizia più che la creazione di un business for life?

M: Dal mio punto di vista la startup nasce necessariamente per risolvere un problema all’interno di un mercato gigantesco, innovando, e deve “correre” molto di più di quanto necessiti una normale impresa che può permettersi più tempo per attendere risultati. Gli investitori e le loro esigenze non possono ovviamente essere ignorati ed in fin dei conti il loro principale obiettivo, a parte in rari casi, è legittimamente trarne un guadagno. Non si può quindi pensare di scindere le strategie per un’eventuale exit redditizia da una startup, ma al contempo sarebbe meglio ovviamente iniziare con l’idea di portare avanti un progetto interessante prima ancora del lucro. L’ideale poi sarebbe che l’investitore sposi il progetto in sé più che il fatturato, ma ovviamente ciò non può avvenire sempre.