Attualità

AAA … Donne imprenditrici cercasi

di Diego Castagno

I dati di Unioncamere ad agosto 2017 sulle start up innovative rivelano che solo il 13 per cento del totale sono iniziative animate da una founder donna. I dati sulle start up rosa confermano un ritardo che il nostro Paese ha accumulato negli ultimi anni sul tema della parità di genere, sempre più questione economica oltreché etica.

Le donne alla guida di un’azienda sono il 21,8%, e l’Italia non sembra essere un Paese per donne: la speciale classifica del “Global gender gap index” vede l’Italia al 82esimo posto su 144, in caduta libera negli ultimi 10 anni.

Il problema diventa politico nella misura in cui impone e richiede soluzioni di sistema, che tengano conto della complessità della questione. La politica infatti negli ultimi anni si è mossa, con le quote rosa nei consigli di amministrazione e negli organismi elettivi.

Per incoraggiare le iniziative imprenditoriali al femminile inoltre si sono stanziati incentivi e finanziamenti cospicui, sia a livello regionale sia a livello nazionale. Nonostante i numerosi tentativi le donne che fanno impresa restano molto poche. E non per la mancanza di incentivi, ma per la carenza di servizi dedicati alle donne che consentirebbero di lavorare e creare valore esattamente come i loro colleghi maschi. O per la mancanza di visione di alcuni provvedimenti, ad esempio quello che incentiva il licenziamento dopo la maternità con l’accesso al nasci, anziché incoraggiare il rientro al lavoro.

A dirlo sono le autrici del documento “Mai più senza”, scritta con l’occasione delle elezioni politiche e rivolte gli esponenti e candidati dei partiti politici italiani.

È tecnicamente un documento per punti che suggerisce soluzioni concrete e riforme che portino ad una società nella quale le donne siano meno discriminate, rivolto alla politica nazionale e locale. In realtà è un programma politico a tutto tondo, con numeri e proposte che potrebbero davvero costituire una svolta. Il tema non è nuovo, piuttosto la novità consiste nel metodo con cui si affronta il tema e nell’approccio pragmatico con cui si individuano le soluzioni. In Italia il tasso di occupazione femminile è inferiore al 50 per cento: le donne al lavoro in Italia sono il 48,8% solo la Grecia fa peggio, la media in Germania è del 71%, mentre gli uomini che lavorano in Italia sono il 66,8. Il divario fra nord e sud del Paese poi è spaventoso: al sud le donne che lavorano sono il 30% della popolazione femminile complessiva, nella città di Milano sono il 60%.

Se in Italia le donne dedite al lavoro di casa e di cura parentale entrassero nel mercato del lavoro l’impatto sul PIL sarebbe straordinario, la crescita secondo uno studio diffuso dalla Fondazione Moressa, potrebbe essere pari a 268 miliardi di euro. Tra l’altro l’obiettivo coincide con quello indicato dall’Agenda di Europa 2020, che prevede per l’Italia un tasso di occupazione femminile pari al 67%. E alla stessa conclusione giunge la professoressa Paola Profeta, economista esperta del tema: 100mila donne al lavoro in più equivalgono a uno 0,28 percentuale di crescita del prodotto interno lordo. Nel 2016 30mila donne hanno rinunciato al lavoro dopo la maternità e in Italia ci sono 22,5 posti asilo ogni 100 bambini, rispetto ai 33 indicati dalla UE come obiettivo strategico. Non stupisce quindi una scarsa propensione all’impresa, data la carenza di sostegno alla genitorialità. Il tema della parità di genere costituisce una opportunità per la crescita del Paese. O meglio la parità conviene. Potrebbe essere un volano di crescita sia economica che sociale, basta capire che tipo di società si vuole.

Tornando al tema del sostegno all’impresa e del lavoro femminile, i dati sono bassi ma rivelano un trend positivo e costante. Un ultimo dato se ci fossero ancora dei dubbi. Il rapporto tra numero di donne che lavorano e tassi di crescita, o decrescita demografica rivelano che esiste una relazione, ma contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare rivela che più le donne lavorano, più fanno figli. Quindi, secondo questi studi, il tema della natalità va sostenuto incentivando il lavoro, non l’uscita dal mercato del lavoro.

Per approfondire: www.maipiusenzaparita.it

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